Incertezza, rimuginamenti, rigidità, rituali
Provare incertezza nel rapporto con gli altri e il mondo è un’esperienza comune a chiunque. «Avrò fatto bene a dire così»? «Avranno capito le mie intenzioni»?
Per qualcuno la risposta a queste domande è piuttosto chiara e immediata. Deriva da un vissuto di coerenza: un sentirsi «a posto», emotivo ancor prima che razionale. Non tutti però avvertono questo senso di «completezza» e di intima coerenza nelle proprie interazioni. Devono per forza fare riferimento a una cornice esterna di senso per garantirsi questa coerenza: un set di regole, un protocollo, i comandamenti, le prassi, ecc. Il sentirsi più o meno «a posto» con se stessi e con gli altri passa quindi per l’adesione stretta al sistema di riferimento impersonale che si è scelto di adottare:
«Sono un bravo automobilista perché seguo alla lettera il codice della strada», «Sono un impiegato modello perché controllo ogni cosa più e più volte per non sbagliare», «Sono una brava donna di casa perché non lascio neanche una briciola a terra».
Non riuscire a corrispondere al proprio sistema di riferimento è vissuto con fortissima ansia, riflessioni continue e logoranti sulla situazione e mancanze percepite, senso di colpa, pensieri intrusivi, comportamenti ripetitivi volti a rassicurarci momentaneamente.
«Potrei essere stato io a provocare quell’incidente perché, anche se non direttamente coinvolto, andavo oltre il limite di velocità. Ora controllo tutte le notizie per essere sicuro di non averlo causato io», «L’ufficio potrebbe prendere fuoco perché non ho ricontrollato di aver spento la luce. Ci devo tornare per esserne certo», «Pulisco la casa ogni giorno per quattro ore ma non è mai abbastanza pulita. Poi noto delle briciole per terra e devo ricominciare da capo».
Questa inclinazione emotiva può tradursi in atteggiamenti di particolare scrupolosità, religiosità, ordine e pulizia che possono rallentare e ostacolare le nostre quotidiane interazioni e provocare grave affaticamento e ansia. In alcune persone tali difficoltà hanno anche componenti genetiche e possono prendere forma di disturbi invalidanti caratterizzati da ossessioni (pensieri intrusivi) e compulsioni (comportamenti ripetitivi e rituali).
Insoddisfazione e pensieri ricorrenti circa il proprio aspetto
Alcune persone manifestano un forte disagio legato alla propria immagine. Questa sofferenza, che può arrivare ad assumere le caratteristiche di un vero e proprio disturbo (dismorfismo corporeo), è caratterizzata da incertezza e insoddisfazione per il proprio aspetto fisico, visto come «difettoso» e addirittura «deforme», ma giudicato normale dagli altri. Ad esempio, qualcuno vede la propria mascella troppo «sottile» o troppo «pronunciata», il proprio corpo troppo «esile» o «massiccio», naso o schiena sono percepiti come irregolari, curvi, storti. La preoccupazione per il proprio aspetto e l’ansia per queste presunte irregolarità estetiche danno luogo a comportamenti ripetitivi volti ad alleviare l’ansia che ne consegue:
- continui controlli e aggiustamenti del proprio aspetto allo specchio;
- rigide routine nella cura di sé (trucco, abbigliamento, ecc.);
- continui confronti mentali a livello estetico con le persone incontrate;
- tentativi di camuffare o mascherare il proprio aspetto.
Questa condizione, relativamente diffusa, inizia solitamente verso l’infanzia o adolescenza ed è spesso accompagnata da sintomi ansiosi e depressivi che possono diventare invalidanti.
Accumulo seriale
Disfarsi dei propri averi può essere difficile per chiunque: spesso i nostri oggetti ci ricordano situazioni vissute, momenti particolari, persone speciali. A volte però la necessità di non buttare via nulla può trasformarsi in un vero e proprio disturbo. Alcune persone arrivano ad accumulare, in anni, quantità di oggetti che li costringono a modificare le proprie abitudini, nell’impossibilità di muoversi liberamente nella propria casa o in attesa di una sistemazione più ampia, dove il problema del finire «sepolti» dalle cose prima o poi si ripresenta.
C’è chi non butta via niente per non perdere la «traccia di sé» e della propria identità, che è costantemente messa in dubbio e fonte di incertezza se non confermata da «prove» tangibili accumulate negli anni (un tagliandino o uno scontrino possono rivelarsi fondamentali per confermare che siamo davvero stati in quel museo oppure che siamo davvero usciti a cena con quella persona). C’è poi chi non butta via niente nel dubbio che anche un ritaglio di giornale qualunque o un semplice bottone spezzato possano prima o poi rivelarsi indispensabili.
In tutti e due i casi il risultato è l’impossibilità di buttare via anche cose senza alcun apparente valore, ma i modi di sentirsi alla base dei due esempi sopra sono molto diversi e vanno adeguatamente indagati e trattati in psicoterapia.