Mi fa male il polso, sono stufa di tenere in mano il cellulare. Accendo il computer e riprendo da dove avevo lasciato. Anteprime, unboxing, recensioni. Prima i video in italiano, poi in inglese, poi tutti gli altri, basta che si parli del nuovo oggetto dei miei sogni. Assorbiti i video, in mancanza di altro, passo allo scritto. Leggo nei forum l’esperienza di chi ce l’ha, metto mi piace sulla pagina Facebook e commento, partecipo. Imposto un’immagine dell’oggetto come sfondo del cellulare, ne metto una diversa sul computer, un’altra ancora sul tablet dei miei genitori.
Avanti così per qualche giorno finché questa «febbre» non raggiunge il suo culmine e sono pronta a farlo mio. Se l’acquisto è online questa febbre dura solo poche ore. Altre volte invece voglio andarci di persona allo store e uscire con l’acquisto in mano. Chissà se l’hanno esaurito in negozio. A volte chiamo per tranquillizzarmi. In questo stato tutto il resto scompare: famiglia, scuola, amiche, ragazzi. Metto da parte i problemi, le difficoltà e il mio continuo senso di non andare bene agli altri.
Organizzo la giornata di shopping nei minimi particolari. Prendo il treno da sola e guardo fuori dal finestrino, ma è come se fossi già là. Una volta nel negozio mi gira la testa e le mani mi sudano quando mi chiedono se mi possono aiutare. Il mio è un «sì» teso, simile a quelli che si pronunciano prima di abbandonarsi consapevolmente a una trasgressione, a qualcosa che si vuole tenere privato e segreto.
A quel punto niente più mi può fermare e quasi sventro la borsa per raggiungerne il cuore: il portafoglio. Avvicino la carta di credito al sensore e per un instante temo che il chip si sia smagnetizzato, finché non sento il beep di OK e vedo spuntare lo scontrino. Così, senza contatto e senza sforzo, compio l’ennesimo acquisto.
All’improvviso, sottilmente, la mia «febbre» si tinge della prima sfumatura critica: ora dovrò risparmiare a lungo per rientrare di questa ennesima spesa. Forse è vero che prima dovrei risparmiare e poi comperare e non viceversa. Esco veloce dal negozio e quasi dimentico l’oggetto! Non ho più voglia di fermarmi a mangiare qualcosa come avevo programmato ieri, non sono più dell’umore giusto.
Nel viaggio di ritorno mi sento svuotata.
Cerco di riprendermi postando sui social la foto del nuovo acquisto ancora confezionato, un teaser buttato lì che non riesce a stuzzicare neanche me e che riceve pochissimi like. Una volta a casa desisto dall’idea di fare un video dell’apertura della confezione, sono esausta. L’oggetto rimane dove è fino a sera, quando, nel tentativo di fare ordine in camera mia e dentro me, lo scarto e lo ripongo nell’armadio accanto alle sue tre sorelle identiche, dalle variazioni cromatiche minime. Non mi serviva un’altra borsa.
Cerco di combattere il senso di colpa. Sono talmente triste che prendo il cellulare e guardo quali nuovi oggetti mi consiglia Amazon. Qualcosa di interessante c’è. Inizio a stare meglio.
Le fasi
Il racconto qui sopra, ispirato all’esperienza di una giovane paziente ventenne, esemplifica come si sente e agisce chi diventa dipendente dagli acquisti. Si riconoscono bene le fasi del disturbo da shopping compulsivo (compulsive buying disorder):
- Anticipazione: la previsione di un acquisto inizia a monopolizzare il rapporto tra la ragazza e il mondo. Si informa, si preoccupa, partecipa a discorsi condivisi, vivendo un senso appagante di adeguatezza e di stimolante appartenenza.
- Preparazione: presa la decisione, la ragazza si prepara all’acquisto come fosse un rito: decide dove e quando andare, come vestirsi per l’occasione, quale metodo di pagamento utilizzare.
- Acquisto: questo è il culmine dell’esperienza, che può coincidere con un’eccitazione quasi sessuale.
- Spesa: completato l’acquisto l’eccitamento cede il posto a un senso di delusione e disappunto nei propri confronti che innescano una serie di pesanti emozioni negative.
Ti sei mai sentito così?
Il disturbo s’instaura solitamente dopo i vent’anni, quando l’individuo raggiunge capacità decisionale e disponibilità economica che permettono acquisti in autonomia.
Lo shopping compulsivo è solitamente associato al genere femminile, ma questo dato potrebbe essere fuorviante. Meno uomini sono disposti a riferire come problematiche le proprie abitudini di shopping, giustificando come «collezionismo» i propri acquisti ripetuti e compulsivi.
Emozioni negative sono i più comuni fattori scatenanti dello shopping compulsivo: umore depresso, ansia, noia, vuoto, critiche ricevute, rabbia. Quando il ciclo della dipendenza si instaura queste emozioni possono anche essere conseguenza del più recente acquisto, generando un circolo vizioso da cui è difficile liberarsi.
Tu ti sei mai sentita/o così? Possiamo aiutarti! Contattaci.!
Riferimenti bibliografici
- Marazziti D, Presta S, Picchetti M, et al. Behavioral addiction: clinical and therapeutic aspects. Journal of Psychopathology 2015;21:72-84.
- Pinna F, Dell’Osso B, Di Nicola M, Janiri L, Altamura AC, Carpiniello B, Hollande E. Behavioural addictions and the transition from DSM-IV-TR to DSM-5. Journal of Psychopathology 2015;21:380-389.
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